Irregolare trasferimento di Personale tra aziende: le conseguenze retributive nella giurisprudenza della Corte di Cassazione
Il trasferimento di Personale da un’azienda all’altra, senza soluzione di continuità e con prosecuzione del medesimo contratto di lavoro, può avvenire in due casi:
- nell’ambito di un trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda (ai sensi dell’art. 2112 c.c.)
- per effetto di un accordo di cessione del contratto individuale di lavoro in applicazione dell’art. 1406 c.c.
Per quanto riguarda quest’ultimo punto, diversa è l’ipotesi in cui il passaggio avviene mediante cessazione del rapporto di lavoro e nuova assunzione, anche se a parità di condizioni.
La Corte di Cassazione sul trasferimento di Personale tra aziende
Con la recentissima sentenza n. 16719 del 16 giugno 2021, la Corte di Cassazione è intervenuta a seguito di un caso specifico. In tale situazione, per il (presunto) passaggio del lavoratore era stata previamente accertata l’assenza delle condizioni per l’applicazione sia dell’art. 2112 c.c. e sia dell’art. 1406 c.c., con conseguente ordine di reintegra del lavoratore presso il datore di lavoro (presunto cedente), tuttavia da quest’ultimo non ottemperato. La Suprema Corte indica gli effetti sul piano giuridico, con importanti conseguenze di carattere applicativo.
La pronuncia non è isolata, ma si inserisce nel più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia:
“il lavoratore illegittimamente ceduto ha diritto di ricevere le retribuzioni da parte del cedente che, senza giustificato motivo, non ottemperi all’ordine di reintegra”; e, quindi, la prestazione rifiutata dalla società cedente a seguito della sentenza accertativa della illegittimità del trasferimento del ramo d’azienda equivale alla prestazione effettivamente resa, mantenendo inalterato il diritto del lavoratore, a ricevere la retribuzione.
Cass., SS.UU., n. 2990/2018; n. 17785/2019; 17784/2019
Argomenti a fondamento e conseguenze
I principali argomenti a fondamento della sentenza e le relative conseguenze sul piano pratico sono descritti qui di seguito.
- Per assenza delle condizioni previste dalla disciplina vigente, non è possibile affermare che si sia effettivamente verificato un legittimo passaggio del dipendente. Per questo, il rapporto di lavoro instauratosi, di fatto, tra l’azienda cessionaria ed il lavoratore resta del tutto distinto rispetto a quello che quest’ultimo aveva con l’azienda cedente. Infatti, se, invece, si ritenesse sussistere l’unicità del rapporto, si giungerebbe alla conclusione di ritenere avvenuta la modificazione soggettiva del datore di lavoro, senza la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge.
- Conseguentemente «non sono detraibili dalle somme dovute al lavoratore dal datore cedente, quanto il lavoratore stesso abbia percepito, nello stesso periodo, anche a titolo di retribuzione, per l’attività prestata alle dipendenze dell’imprenditore già cessionario, ma non più tale (…) e ciò, perché, in tale ipotesi, permane in capo allo stesso il diritto di ricevere le somme ad esso spettanti, da parte del datore cedente, a titolo di retribuzione e non di risarcimento (v., ancora, Cass. SS.UU. n. 2990/2018, cit.). Per la qual cosa, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento, poiché, appunto, e’ stato escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio».
L’ulteriore intervento giurisprudenziale qui segnalato richiama l’importanza dell’attenzione da avere nell’impostazione e gestione delle operazioni aziendali di outsourcing/insourcing, parziali o totali, di attività che implicano il trasferimento – individuale o collettivo – di Personale. A motivo degli effetti che si possono ingenerare, è cruciale considerare le eventuali modalità non pienamente rispondenti ai criteri giuslavoristici, che regolano le fattispecie con cui può essere effettuato un genuino passaggio di Personale tra aziende.